sabato 16 ottobre 2010

Brecht e il teatro amatoriale

Riporto qui di seguito un estratto da un capitolo de "Il Mestiere d'Attore" di Bertolt Brecht (grande drammaturgo tedesco del novecento, autore fra gli altri de "L'opera da tre soldi", "Madre Courage e i suoi figli" e "Vita di Galileo") che Simone ha sottoposto alla mia attenzione e che ho trovato molti significativo. Brecht parte affrontando il problema del valore e del significato del "Teatro dei filodrammatici" (oggi diremmo teatro amatoriale) per estendere poi la sua riflessione fino al ruolo del teatro nella società.
Non vi espongo il mio parere in proposito (quello semmai lo scriverò nei commenti). Riporterò solo i passaggi a mio parere più significativi. Chi volesse leggere l'intero saggio (sono meno di 4 pagine) me lo faccia presente che gli mando tutto.

Il titolo del capitolo è "Vale la pena di parlare del teatro dei filodrammatici?"

"Chiunque voglia studiare seriamente il teatro e la sua funzione sociale farà bene a prendere in considerazione anche le molteplici forme in cui esso è praticato all'infuori delle grandi istituzioni, vale a dire le iniziative spontanee, embrionali, scadenti dei non professionisti. [...] Certo, capita spesso di sentir dire che gli spettacoli organizzati da filodrammatici sono di basso livello artistico e intellettuale. Non vogliamo qui approfondire la verità di questa affermazione; ad essa se ne oppongono altre secondo cui almeno una parte di quegli spettacoli rivela molte qualità naturali e una grande volontà di perfezionarsi. Ma lo scarso conto in cui è tenuto il teatro dei filodrammatici è ancor sempre talmente diffuso che verrebbe fatto di domandarsi: Che accadrebbe se il livello di tali teatri fosse realmente così basso? Sarebbe cosa tanto priva di importanza? La risposta dovrebbe essere: No!
Infatti è sbagliato credere che non valga la pena di parlare delle iniziative artistiche dei profani se da esse non salta fuori nulla di buono per l'arte. Non è vero che una cattiva rappresentazione, a differenza da una buona, non lasci dietro di sé alcuna impressione. Un'impressione la lascia sempre, ma non buona, cattiva. La frase: Se non giova non fa neppure danno, almeno per l'arte, è assolutamente falsa. La buona arte è un incentivo alla sensibilità artistica, l'arte cattiva non la lascia incontaminata ma la danneggia.
La maggior parte delle persone non hanno un'idea ben chiara di quali conseguenze possa avere l'arte - buone e cattive. Se uno spettatore non è preso e commosso perché l'arte è scadente si crede che non gli accada nulla. A prescindere dal fatto che non soltanto dalla buona arte ma anche da quella scadente è possibile venir presi e commossi, anche se non si resta commossi qualcosa accade sempre, comunque. Un lavoro teatrale, buono o cattivo che sia, contiene sempre un'immagine del mondo - gli attori, bene o male, mostrano sempre come si comportano gli uomini in determinate circostanze [...] In base a a questo, lo spettatore viene stimolato a trarre determinate conclusioni sull'andamento del mondo. Comportandosi in quel dato modo (così sente dire) può contare su quella determinata conseguenza. Egli viene dunque indotto a condividere certi sentimenti umani, naturali, sottintesi. Invece non sempre si tratterà di sentimenti giusti, universalmente umani, naturali. Poiché in questo i film rassomigliano ai lavori teatrali ma sono più noti, ne prendiamo uno ad esempio per spiegare il nostro pensiero.
Nel film Gunga Din, tratto da una novella di Kipling, assisteti al conflitto fra truppe di occupazione inglesi e la popolazione indigena. [...] Gli indiani erano primitivi, comici o malvagi - comici se fedeli agli inglesi, di pessimo carattere se ostili. I soldati inglesi erano bravi ragazzi pieni di umorismo, e quando prendevano a pugnli la gente per ridurla alla ragione il pubblico rideva. [...] Ero commosso e consenziente anch'io e ridevo al momento giusto; pur restando convintissimo che qualcosa non andava, pur sapendo che gli indiani non sono affatto dei primitivi e incivili ma vantano una civiltà grandiosa e antichissima [...] Mi divertivo e mi commuovevo perché quella rappresentazione, assolutamente falsa ma realizzata con grande impiego di abilità e talento, era artisticamente riuscita. E' chiaro che un simile godimento artistico non rimane privo di conseguenze. Indebolisce i buoni istinti e rafforza i cattivi, contraddice ad esperienze giuste e diffonde concezioni sbagliate, sfalsa, insomma, l'immagine del mondo. Non esiste lavoro teatrale, non esiste spettacolo che non influisca in un modo o nell'altro sulle concezioni e le emozioni degli spettatori. Depone a tutto favore dell'arte il fatto che essa non rimanga mai senza conseguenze.
[...] E' importante il modo in cui vengono trattati sulla scena l'amore, il matrimonio, il lavoro, la morte, quali ideali vengano presentati e propagati per chi ama, per chi combatte la lotta per l'esistenza e via dicendo. Il teatro, in campo assai più serio, esplica dal più al meno le stesse funzioni delle sfilate di moda. Dal palcoscenico si presentano non i costumi più moderni ma i modi di comportarsi più attuali - non si mostra ciò che Si Porta ma Come Ci Si Comporta.
Non più importante ma quasi più evidente è l'influenza del teatro sulla formazione del gusto. [...] Attraverso cento dettagli, il gusto viene influenzato - migliorato o peggiorato - dal palcoscenico; perché esso ha una parte decisiva anche - anzi, per l'appunto - nell'arte realistica. Anche la rappresentazione del brutto deve essere guidata dal gusto. [...]
Così dal teatro si diffondono influenze politiche, morali ed estetiche buone, se l'arte è buona, cattive se è cattiva. Spesso si dimentica come l'educazione dell'uomo avvenga in maniera teatrale. [...] Sono avvenimenti teatrali quelli che formano il carattere: l'uomo imita i gesti, la mimica, i toni di voce. E se il pianto procede dal dolore, anche il dolore procede dal pianto. [...] Chi rifletta su queste cose comprenderà l'importanza del teatro per la formazione dei caratteri, comprenderà cosa significhi che qualche migliaio si persone recitino per centinaia di migliaia. Una scrollata di spalle non sarebbe una risposta adeguata alle fatiche di tante persone per amore dell'arte.
L'arte stessa non rimane indenne dal modo particolarmente transitorio, spensierato, ingenuo in cui viene praticata. Il teatro è per così dire la più umana, la più universale di tutte le arti, la più generalmente praticata, non soltanto sulle scene ma anche nella vita. E l'arte teatrale di un popolo o di un'epoca deve venir giudicata come un tutto unico, come un organismo vivente che non è sano se non è sano in ogni suo membro. Anche questo è uno dei motivi per cui vale la pena di parlare del teatro dei filodrammatici."

Ecco qua. Personalmente, trovo che alcuni passaggi di questo saggio siano molto significativi sia per il nostro lavoro sia per il suo significato. Ho deciso comunque di tenere anche le parti che magari potremmo sentire meno vicine sia per il loro valore in merito alle riflessioni brechtiane sia per mantenere lo spirito del testo originale.
Questo post va a confrontarsi naturalmente con l'altro, "Un senso artistico", sempre nel tag arte.

3 commenti:

  1. "La buona arte è un incentivo alla sensibilità artistica, l'arte cattiva non la lascia incontaminata ma la danneggia"

    Per quanto condivida questa frase, penso che ci siano davvero poche persone che cerchino di fare la cattiva arte. Credo che Brecht non intenda quindi un fare volontariamente cattiva arte; semmai critica il pressappochismo di chi "tira a fini'", come direbbe mia madre.

    Sinceramente non mi piace nemmeno il parlare di cattiva arte o buona arte, ma forse è per la mia patologica deviazione a considerare relativo il giusto e lo sbagliato, il bene e il male. Chi l'ha detto che quel che io giudico come buona arte sia buona arte *per tutti*?

    A parte queste due riflessioni negative nei confronti di questo saggio - che scaturiscono dal fatto che per me sia molto più facile criticare che elogiare - trovo lo scritto di Brecht molto interessante e molto condivisibile. Un impegno per noi a non crogiolarci, a cercare sempre nuovi stimoli, a non fare teatro solo per andare in scena, a non fare "cattivo teatro" (a ognuno poi dare la propria definizione di ciò).

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  2. Ho premuto molto perché questo saggio fosse letto dai due registi, ed ora vorrei che anche gli attori, e mano a mano tutti i nostri collaboratori ne facessero la conoscenza...

    Ritengo giusto l'appunto di Ale: cos'è "giusto"?

    Artisticamente non possiamo parlare di "giusto"... uno spettacolo o "funziona" o "non funziona". Quando non funziona la gente si alza e se ne va (e parlo di gente d'ogni profilo, sia il lucchese medio che il sensibile spettatore ideale); se funziona il pubblico resta avvinto e recepisce qualcosa (il messaggio?) in modo più o meno conscio.
    Ed è quando funziona che possiamo parlare di Arte (quando non funziona parliamo de “La Pazza di Chaillot”), ed in questo caso è giusto chiederci: quello che passa (il messaggio?) che effetti ha sul senso morale, estetico, sociale ed intellettuale del pubblico?

    Ovviamente il giudizio positivo o negativo sarà soggettivo... Hitler penso apprezzerebbe uno spettacolo che incita all'olocausto, una persona sana di mente no...

    E' una posizione scomoda quella dell'artista... l'artista, ed ancora più l'artista teatrale, suo "malgrado" modifica il modo di pensare degli spettatori, e di ciò deve esser consapevole e per ciò non può mai dirsi neutrale, deve infine schierarsi e scegliere cosa egli ritiene sia giusto... Salvo poi metter sempre in dubbio anche le proprie convinzioni più ferree per evitare dogmatismi ed avere ulteriori conferme delle sue posizioni.

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